Moschea Goharshad

Moschea Goharshad
Interni della Moschea Goharshad
StatoBandiera dell'Iran Iran
LocalitàMashhad
Coordinate36°17′15″N 59°36′53″E36°17′15″N, 59°36′53″E
ReligioneIslam
FondatoreGoharshad
ArchitettoQavam al-Din Shirazi
Stile architettonicoStile azero
Inizio costruzione1405
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La Moschea Goharshad (in persiano مسجد گوهرشاد‎) è un'antica moschea a Mashhad della provincia del Razavi Khorasan, in Iran, che ora funge da una delle sale di preghiera all'interno del santuario dell'Imam Reza.

Storia

Fu costruita per ordine dell'imperatrice Goharshad, moglie del sultano Shah Rukh della dinastia dei Timuridi nel 1418 L'architetto dell'edificio era Qavam al-Din Shirazi, che è realizzatore di tanti grandi edifici di Shah Rukh, con la manodopera architettonica e decorativa fornita dalle città di Shiraz e Isfahan.[1]

La moschea ha subito alcuni rinnovamenti durante le ere Safavide e Qajar. La sua cupola a doppio strato fu seriamente danneggiata nel 1911 dai bombardamenti delle truppe zariste dell'Impero russo.

Negli anni trenta del Novecento la cupola fu ricostruita in cemento armato e gli interni vennero restaurati secondo il progetto originale. Per alcuni anni, a partire dalla fine degli anni trenta, il santuario restò accessibile anche ai non musulmani. Tuttavia, questo periodo di tolleranza ebbe breve durata e ciò non consentì un'appropriata documentazione fotografica del monumento.[2]

Stile

«Il primo e il più grande monumento persiano del XV secolo sopravvissuto è la bellissima moschea di Gawhar Shad (1418), ora adiacente al santuario dell'Imam Reza a Mashhad. Il suo portale continua lo stile ad arco di Samarcanda senza arco, arricchito da una successione di smussi e rivelazioni che gli conferiscono profondità e potenza. I grossi minareti a forma di torre, che si fondono con gli angoli esterni dello schermo del portale, si estendono fino al suolo e, insieme all'alto rivestimento del fondale in marmo, conferiscono all'insieme l'impressione di solidità necessaria a sostenere il suo colore esuberante. L'intera facciata della corte è rivestita con mattoni smaltati e maioliche a mosaico di ottima qualità.

La gamma completa di colori include un blu cobalto dominante e il turchese, il bianco, un verde trasparente, il giallo, lo zafferano, il melanzana e il nero lucido - toni tutti che oscillano attraverso diverse sfumature. I modelli lucidi e vigorosi, sono abilmente adattati al loro ruolo decorativo, sia per gli occhielli, sia per gli ornamenti a cupola destinati ad essere visibili a migliaia di piedi di altezza.

La monotonia, difficile da evitare in un'area così ampia, e una complessità distraente che potrebbe competere con le forme architettoniche essenziali sono entrambe evitate.

Ciò è ottenuto dalla forza espressiva dei motivi floreali in faience e dagli schemi geometrici del mattone; dal ritmo enfatico delle arcate, gallerie aperte e profondi recessi; e soprattutto dal contrasto degli iwan.»

(Arthur Pope, Persian Architecture: The Triumph of Form and Color[3])

Il cortile esterno è lungo 40 m e largo 35 m. Alla sua estremità meridionale l'iwan centrale è fiancheggiato da minareti le cui fondamenta si trovano a livello del suolo, e non sulla sommità dell'iwan.[2]

Il secondo piano presenta arcate cieche. Al di sopra di esso si trova un piano alto circa 2 m che presenta numerose nicchie poco profonde e che costituisce di fatto una falsa facciata. Ciò permette alla cupola di essere visibile solo dall'estremità nord, data la notevole elevazione del piano. La scelta di far erigere i minareti a livello del suolo fu un'idea introdotta dall'architetto Qavam al-Din Shirazi, mentre il concetto della falsa facciata era già ben consolidato.[2]

La cupola ha un diametro di 10 m e sormonta un parallelepipedo in mattoni. È decorata con mosaici in maiolica di colore blu scuro, azzurro e bianco.[2]

Sulla facciata dell'iwan meridionale vi è un fregio con un'iscrizione in persiano ad opera del calligrafo Baysonqor, figlio di Goharshad. La scritta indica come 1418 la data di completamento della moschea, mentre un pannello separato recita: "Opera del povero, schiavo debole, colui che ha bisogno del favore di Allah il misericordioso, Qavam al-Din Shirazi al-tayyan'".[2]

Galleria d'immagini

Note

  1. ^ Wilber, p. 32.
  2. ^ a b c d e Wilber, p. 33.
  3. ^ Arthur Upham Pope, Persian Architecture: The Triumph of Form and Color, New York, 1965, ISBN 978-0-8076-0308-6.

Bibliografia

  • (EN) Donald Wilber, Qavam al-Din ibn Zayn al-Din Shirazi: A Fifteenth-Century Timurid Architect, in Architectural History, vol. 30, 1987, pp. 31–44, DOI:10.2307/1568512.

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Collegamenti esterni

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